



di Paolo Giardini
Da ragazzino avevo iniziato a leggere “Alice nel paese delle meraviglie”, subito abbandonandolo perché troppo surreale. Per tanti anni non ho compreso il successo del racconto e dei suoi personaggi, ignorando che si trattava di un raffinato gioco letterario, in cui si mescolano regole linguistiche, logiche e scientifiche in un contesto fantastico e giochi di parole dai continui richiami a personaggi, fatti e modi di dire. Se da piccolo non riuscii a capirlo qualche giustificazione l’avevo: non ero, è vero, granché intelligente e capace d’astrazioni, ma neppure un bimbo anglofono della seconda metà del 19° secolo.
Il cappellaio matto, il coniglio bianco e la regina però, continuando a far parte di fumetti e film per l’infanzia, li ho ritrovati quando i miei figli erano bambini, così i nonsense del cappellaio matto spesso riproposti sono diventati consueti e graditi, stimolando la tentazione di riprovare a leggere Alice. Una tentazione proforma: sono un lettore vorace ma selettivo per necessità, quindi la letteratura, ultima nei miei gusti, è sparita, eliminata da un arretrato di incomplete letture che non lasciano spazio ad altro. Ciononostante, quel mondo di Alice che ha sfiorato le infanzie mia e dei miei figli, mi sembra si stia insinuando in un’altra infanzia: quella della politica partecipata ferrarese. Essendoci un po’ dentro (finché non mi sbatteranno fuori, giustamente, per rincoglionimento senile) aderendo ad un impegno civico, ho potuto vedere da vicino un’umanità strana, apparentemente indistinguibile da quella conosciuta, ma che si esprime spesso con logica capovolta (forse è meglio dire rotolante).
Le risposte ai lettori di un direttore di giornale che, come il Cappellaio Matto, oltre a sproloquiare “uccide il tempo”, o la onnipresenza sul sito di PpF di personaggi estranei a PpF che vogliono imprigionare prima che sia commesso il delitto, sembrano confermare il proposito dell’autore di Alice: mettere in dubbio l’assunto di base secondo cui la comunicazione umana è logica e precisa. Se Valentino Tavolazzi volesse riproporre l’insoluto indovinello del cappellaio “perché il corvo non è una scrivania?” infilandolo in una comunicazione, cambiando ovviamente corvo con Tagliani o Dragotto, otterrebbe con buona probabilità, gratuitamente, una risposta soddisfacente nella profusione di risposte da parte dei nostrani conigli bisestili, tartarughe finte, cappellai e regine, conquistandosi fama imperitura fra i cultori di Lewis Carroll.
Spero che il sito di Progetto per Ferrara non vada perduto: le centinaia di commenti ai post sono certamente di grande interesse per gli studiosi di varie discipline.
Paolo Giardini
Progetto per Ferrara