



di Paolo Giardini
Nel tardo pomeriggio di domenica 18 Aprile non ero il solo spettatore al Teatro Comunale ad ascoltare il salottiero conversare con cui Calimani, presidente del MEIS (Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah, di cui il bando architettonico per l’adeguamento dell’edificio in via Piangipane è già avviato), intratteneva sul palco i suoi ospiti. Il teatro era pieno e quella fiumana di persone che uscì alla fine, dopo il congedo del saluto conclusivo del Calimani, aveva ancora nelle orecchie l’esplicita richiesta, formulata pochi minuti prima ai tre ospiti, di ricevere suggerimenti sull’impostazione da dare al museo.
Fra la folla c’era tutto il gotha istituzionale cittadino.
C’era anche il direttore scientifico del MEIS, il prof. Piero Stefani. Fortunatamente per i miei gusti, perché, pur essendo un misantropo con scarse aspettative nella saggezza altrui, mi sembrava troppo deprimente che nessuna autorità si fosse scocciata per una tardiva ricerca di abbozzi d’idee del Calimani, più consona ad un colloquio informale per un’imbastitura d’ipotesi preprogettuale che di una necessità operativa a cose avviate con un bando architettonico in corso d’emissione!
Era pubblica ammissione del fallimento del lavoro svolto o astuta voglia di replicare la meravigliosa gestazione di Cona?
Per fortuna, dicevo, fra i presenti c’era anche il prof. Stefani, che successivamente ha dato le dimissioni da direttore scientifico dell’organismo presieduto dal Calimani. Forse s’è dimesso per ragioni che non posso immaginare. Mi piace però credere che in quella folla ci fosse almeno un concittadino rispettoso del buon senso.
Paolo Giardini