



di Paolo Giardini
I giornali locali hanno fatto la loro parte. Tanti articoli hanno svelato l’incredibile storia di un ospedale che non solo metaforicamente poggia sulle sabbie mobili. Fra i tanti indecenti dettagli, però, c’è un aspetto che esula dalla sostituzione del glorioso ospedale cittadino con un altro concepito malamente e gestito con pratiche abortive per farlo nascere squallidamente in aperta campagna con vista autostrada. Riguarda la sopravvivenza dell’antica Facoltà di Medicina della nostra Università. Le notizie di stampa lasciano arguire che chi comanda a Ferrara ha deciso di chiuderla, o ridimensionarla a dimensioni lillipuziane.
Poiché le facoltà di medicina possono esistere solo in simbiosi con adeguati reparti ospedalieri correlati alle cattedre, la conferma che il nuovo e unico grande ospedale conserverà, o diminuirà, gli attuali posti letto (meno di 800) corrisponde ad una definitiva condanna all’estinzione della facoltà di medicina locale. Il voluto proseguimento dell’uso di barelle nei momenti di punta (ma per la nomenklatura un letto si trova sempre, no?), conferma implicitamente la scelta che ha costretto a chiudere più di 30 scuole di specializzazione. Cioè la conferma di un sabotaggio intenzionale. Un altro colpo inferto all’inerme Ferrara.
La Facoltà di Medicina prosperava quando il S. Anna offriva il triplo di posti letto. Ridurli al di sotto dei limiti fisiologici comporta, con l’inedia, le doglianze che accompagnano il degrado dei rispettivi reparti: non più affiancamenti ai primari di colleghi preparati in vista del futuro passaggio del testimone; non più prospettive fidelizzanti l’affezione e dedizione ai reparti, senza le quali il lavoro è più meccanicistico che clinico; non più stimolante crescita culturale interna, spenta dal declino dell’ambiente di lavoro; e poteri-simulacro, confinati esclusivamente all’atto medico, quando tutto il resto è deciso arbitrariamente da altri soggetti di nomina politica.
Hanno tentato di spacciare il clamoroso pensionamento di decine di professori di quest’anno come conseguenza di problemi previdenziali. Fosse davvero una questione previdenziale, ci sarebbe stato contestualmente un esodo epocale in tutta Italia. S’è trattato invece della fuga da una realtà avvilente. Di questo dobbiamo ringraziare una diabolica classe politica, specializzatasi ad infliggere danni irreversibili alla nostra Ferrara.
Ce la meritiamo davvero questa genia di collaborazionisti-proconsoli dei poteri forti di Bologna? Non si trovano almeno dieci Giusti, per i quali la loro città possa essere salvata?
Paolo Giardini