



Pubblicato il 17/05/2011 alle 09:03 nella categoria: Italian Week
Chissà se, prima di chiedergli i voti, gli chiederanno scusa. E sì, perché al povero Beppe Grillo gliene hanno dette proprio di tutti i colori: dall’ormai celebre “sei una leggera, sei un truffaldo” di un Giuliano Ferrara vecchia maniera, alla badilata di bon ton usata come fango di Pigi Battista, dalle paginate di Repubblica a quelle dell’Espresso (testate che ora pagherebbero oro per vedere Grillo indicare il voto per Pisapia a Milano al ballottaggio). Il problema è che le scuse non servirebbero e non basterebbero. Non servirebbero perché Grillo non controlla quei voti, che sono dei ragazzi del movimento Cinque Stelle, una realtà molto più autonoma dal comico genovese di quel che i media amano pensare. Non basterebbero perché Grillo meriterebbe non le scuse, ma un caloroso ringraziamento per aver ispirato in decine di migliaia di giovani la passione politica e la conseguente necessità di organizzarsi partiticamente, al posto del disincanto e del qualunquismo, che è sempre mancata assunzione di responsabilità. Quel ringraziamento partiti e media non riescono neanche a pensarlo.
Se ne sono assunte di responsabilità i ragazzi del Cinque Stelle: a Milano, guidati dal ventenne Mattia Calise, detengono i voti decisivi per il ballottaggio. A Bologna sono a un passo dal dieci per cento. A Torino arrivano terzi con il cinque per cento. Sono ovunque davanti al celebratissimo terzo polo reducista di Fini-Casini-Rutelli, cinque per cento in tre, sempre in prima fila sui giornali che contano, sempre presenti in sondaggi e specchietti, a differenza dei grillini (odiano questa definizione) che venivano occultati dai media, non nominati, infilati nella categoria “altri” fino a una settimana dal voto. Quando si è capito che qualcosa stava accadendo.
E non lo si capisce guardando solo ai risultati sotto gli occhi di tutti di Bologna, Torino e Milano. Bisogna andarsi a spulciare i risultati città per città: Ravenna 9,8%, Rimini 11,8%, Cesenatico 14,5%, Savona 9%, Rovigo 7,5%, Trieste 6,1%, Novara 7,8%, Arezzo 5,9%, Grosseto 5,3%, Pomezia 7,4%. L’elenco è lunghissimo: in tutto il centro-nord il Cinque Stelle è di gran lunga il terzo polo, al meridione resta ancorato ad un 2% medio che lo tiene dietro il magico trio degli ex (ex Pdl, ex Pd, ex Dc). Ma se uno pensa che il Pd per un anno ha steso tappeti rossi per un Gianfranco Fini che il suo Futuro e Libertà ce l’ha sotto il 2% (e peraltro pure diviso tra bocchiniani e ursiani), cosa bisognerebbe stendere per il movimento di Grillo, con cui le affinità programmatiche sono decisamente maggiori?
Già, i programmi. Di quelli non si è parlato per niente. Il Cinque Stelle era solo antipolitica, qualunquismo, un voto di moda destinato a transitare nel nulla. Io ho l’impressione che non sia così e basterebbe frequentare anche superficialmente la rete e leggere le proposte di quei ragazzi per capire con quanta supponenza siano stati trattati: su ambiente, trasporti, energie, infrastrutture, tecnologie, metodi partecipativi, finanziamento della politica sono anni luce avanti e per questo credibili presso l’elettorato. Sono un vero partito di programma, a costo praticamente nullo. Ed è questo che mette più paura: non usano i soldi pubblici per finanziare le proprie casse, li rifiutano e rifiutandoli fanno politica. Questo esempio dirompente irrita moltissimo i custodi degli equilibri, che siedono nei giornali e nei partiti (vero Giuseppe Cruciani?).
Il Pd si è rivolto ai ragazzi del Cinque Stelle utilizzando subito il tono paternalistico. Bersani, in modo “amichevole ma rigoroso”, li ha invitati a uscire “dall’infanzia della politica”. Insomma: “Ragazzi’, basta giocare, datemi i voti e ci penso io”. Ho paura che non sia proprio l’approccio più adatto. Quei ragazzini hanno dimostrato di sapere giocare bene al tavolo da poker della politica: giocano pulito e aggressivo, non regalano nulla, sono pronti a rischiare tutto. Sono dei duri e se la ridono della paternale: si preparano alle elezioni politiche ed è vero quel traguardo che bisogna lavorare per evitare un colossale spreco di energie e consensi.
Ma per costruire un ponte ed un dialogo bisogna prendere sul serio il lavoro fatto dal movimento: il lavoro organizzativo, programmatico, di metodo democratico che ha portato decine di migliaia di ragazzi a scegliere quel tipo di impegno politico militante e non quello nei partiti. Grillo è riuscito a suscitare in quei giovani una concretissima passione per la cosa pubblica, i partiti tradizionali no, il Partito democratico no: ci si vuole cominciare a chiedere il motivo di questa misurabile distanza?
Il Pd non ha vinto queste elezioni, anche se fa finta di: a Milano vince il vendoliano Pisapia, a Napoli il dipietrista De Magistris. Certo, Fassino e Merola, Torino e Bologna, tutto bene e scontato, Ma a Bologna in tre anni il Pd ha perso dieci punti. Guarda casa i dieci punti che ha in cassa il movimento Cinque Stelle. Si vuol fare partire un ragionamento sugli errori commessi, ora che il berlusconismo appare al tramonto e bisogna cominciare a ragionare su un equilibrio futuro per il governo del paese? L’impegno di quei ragazzi non è transitorio né modaiolo: è nato il vero terzo polo e si chiama movimento Cinque Stelle. Un movimento innovativo e strutturato, insultato come lo fu la Lega per dieci anni, prima che tutti decidessero di trasformarsi in federalisti. Tra dieci anni saranno tutti a celebrare la rete e la democrazia diretta: magari sarebbe utile portarsi da subito un po’ avanti con il lavoro.
Mario Adinolfi