



di Alain Goussot
“L a società di questi signori ha bisogno soltanto di una schiera di schiavi (…)Gli uomini che non si sentono uomini si moltiplicano per il loro signore ,come un allevamento di schiavi e di cavalli. Il mondo dei ‘filistei’ è il mondo politico degli animali, e se ne dovessimo riconoscere l’esistenza non ci resterebbe che dar semplicemente ragione allo status quo. Secoli di barbarie lo hanno partorito e formato , ed ora esiste come sistema coerente, il cui principio è il mondo disumanizzato.”(Karl Marx) Voglio dedicare queste mie riflessioni al coraggio e alla dignità degli operai della Fiat Mirafiori; voglio farlo come figlio di un operaio e di una casalinga emigrante italiana in Belgio.
So quale travaglio stanno vivendo le migliaia di famiglie che vivono del loro lavoro al lingotto , i lavoratori e le lavoratrici che vivono un lavoro ripetitivo, alienato, duro lavoro per uno stipendio che non permette di arrivare a fine mese. Ricordo la mia vita di ragazzo , eravamo una famiglia di 5 figli; mio padre operaio e mia madre casalinga e emigrante venuta da Treviso in Belgio, a Charleroi, per raggiungere suo fratello che lavorava in miniera, questo nel 1949. Ricordo il 1962 quando scoppiò uno sciopero durissimo dei metalmecaanici e dei minatori delle zone di Charleroi e Liegi ; mio padre fece 10 giorni di sciopero per il diritto ad un salario adeguato, alla malattia e alla sicurezza sul lavoro. Sentivo mia madre preoccupata ma anche indignata di fronte all’arroganza del padronato, lei che era stata sorella di partigiani. Ricordo il travaglio di mio padre inquieto per noi bambini e per mia madre. Ma ricordo anche le discussioni in quei giorni con i compagni di lavoro di mio padre che venivano in casa; discussioni accese e piene di indignazione verso le condizioni di sfruttamento. Per un mese si mangiò solo patate a pranzo e la sera; ricordo mio padre che usciva per stare davanti ai cancelli della fabbrica dove lavorava la mattina presto , partiva con la sua ‘gamelle’ ,con un pò di brodo con patate, pane ,burro e un termo di caffè. Ricordo anche il senso di orgoglio di questi lavoratori. Così fu ovunque in Europa, così furono conquistati i diritti che oggi vogliono cancellare , capisco il travaglio dei lavoratori di Mirafiori sottoposti ad una vera violenza da parte di un manager che guadagna in maniera indecente e immorale milioni e milioni di euro. Sento le discussioni in casa, sento anche il peso del ricatto , sento lo sguardo dei padri e delle moglie che guardano i figli pensando al loro futuro. Vedo le loro lacrime versate in silenzio. Capisco il disorientamento e il senso , purtroppo di solitudine, di molti di questi lavoratori addittati come antimoderni per il semplice fatto che non vogliono vivere come schiavi ma semplicemente come uomini. Vedo la loro serietà perchè non stanno giocando e affrontano qualcosa di terribilmente serio: il loro futuro, quello dei loro figli , delle loro famiglie ma anche quello delle future generazioni di lavoratori di questo paese. Penso alla dignità ferita, penso al fatto di essere ridotto a quello che Aristotele chiamava , a proposito degli schiavi, “uno strumento animato”, penso alle umiliazioni subite, al buio del futuro per sè e i figli. I lavoratori di Mirafiori stanno affrontando una sfida enorme:quella di non doversi piegare alla violenza padronale e di restare in piede, di essere dei cittadini e non degli schiavi salariati. E’ la sfida che affrontarono generazioni di lavoratori dalla fine dell’800′ fino agli anni 70 del 900′. La sfida della lotta per la dignità e i diritti di cittadinanza nei rapporti di lavoro. Questa sfida riguarda tutti, riguarda il tipo di società e di relazioni sociali e umani che si vuole: una società fondata sulla competitività, l’aumento dello sfruttamento della forza lavoro, l’assenza di cittadinanza nei rapporti di lavoro, la servitù salariata e il precariato a vita (quindi una vita da servo ricattatibile ad ogni momento) oppure una società di donne e uomini liberi e eguali con i diritti di cittadinanza nei rapporti di lavoro, una stabilità dignitosa sul lavoro e dei ritmi di lavoro rispettosi della centralità della persona umana. Vogliamo una società centrata sulla mercificazione, la competizione sul mercato e il profitto di alcuni oppure una società di giustizia che fa della persona umana e della sua dignità come soggetto di diritti il centro di tutta l’organizzazione sociale e dei rapporti economici? I lavoratori per secoli hanno dovuto strappare il diritto di essere trattati come persone e non come animali o, peggio ancora, come ‘strumenti animati’ , poichè le classi dominanti non hanno mai regalato nulla alle classi subalterne.
Era il socialista umanista francese Jean Jaurès, assassinato perchè opposto alla prima guerra mondiale, che dichiarava:
“Il coraggio è di cercare la verità e di dirla; è di non subire la legge della menzogna triomfante che passa e di non fare eco nella nostra anima, nella nostra bocca e con le nostre mani agli applausi imbecilli e fanatici fatti al privilegio”.
Il coraggio della dignità , quello di non piegarsi ai diktat del padrone che ti vuole servo, il coraggio della dignità che continua a pensare la società come un insieme di rapporti in cui non vi sono sfruttati e sfruttatori, il coraggio della dignità che mette in discussione ogni forma di sopruso e di negazione del diritto stesso all’esistenza come donne, come uomo e come cittadino. Si potrebbe dire a questi lavoratori che non si piegano che il loro coraggio avrà un effetto dirompente, mostrerà ai tanti e alle future generazioni che è possibile essere soggetti e non oggetti, che è possibile dire no alla violenza di chi abusa del suo potere e della sua ricchezza. Si potrebbe riprendere le frasi del nostro Jaurès che scriveva:
“Vale la pena pensare che lo sforzo umano verso la luce e il diritto non è mai perso. La storia insegna agli uomini la difficoltà dei grandi compiti e la lentezza delle realizzazioni ma giustifica anche una invicibile speranza nel coraggio umano”.
E’ possibile mettere al centro della società la persona umana; é possibile che questo orizzonte di una società nuova e più giusta possa proprio partire dai luoghi di lavoro; in questo gli operai di Fiat Mirafiori possono reintrodurre la dimensione di una utopia concreta:quella della giustizia nelle relazioni di lavoro. Il coraggio della dignità è quello che si delinea nella quotidianità dei rapporti di lavoro , l’utopia di una umanità rispettosa della dignità di ognuno; di una utopia agita che fa di ogni essere umano un valore in sè e per sè, una finalità e non un mezzo per l’accumulazione di profitto. L’utopia concreta che proclama che valgono più le vite umani che non i profitti dei manager e delle banche che li sostengono. E’ un cambiamento di paradigma , quel cambiamento di cui parlava il vecchio filosofo di Treviri Karl Marx. I lavoratori Fiat come tanti altri lavoratori in Italia , e altrove, lo sanno poichè vivono sulla loro pelle la condizione della mercificazione del loro essere e del suo sfruttamento.
Era Enrico Berlinguer che dichiarava proprio davanti ai cancelli di Fiat Miarafiori:
“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.”
La vita oggi di tanti lavoratori e ,in particolare, di tanti giovani è quella dell’angoscia del domani; sembra che ormai il valore di scambio della forza lavoro sia soltanto una merce utilizzabile a piacimento di chi dirige aziende e banche; sparisce ogni dimensione etica, d’altronde come considerare eticamente accettibile che chi guadagna milioni di euro possa dare lezione di sacrifici a chi vive a stento con un salario modesto. Il filosofo Immanuel Kant considerava che il Sommo Bene e l’unico grande imperativo categorico fossero il fatto di considerare l’essere umano come una finalità, un valore assoluto e mai come un mezzo o un oggetto. Oggi l’essere umano è considerato come un mezzo e un semplice oggetto che viene utilizzato a piacimento dei detentori della ricchezza materiale e della finanza; è la nuova aristocrazia del nuovo feudalesimo della finanza transnazionale e parassitaria che distruge territori, legami, rapporti sociali e vite umani. E’ la filosofa Simone Weil che parlava della ‘disgrazia della condizione umana’ parlando degli operai nelle fabbriche e della loro condizione di alienazione e notava:
“Un operaio, salvo alcuni casi rari, non può appropriarsi di nulla con il pensiero in fabbrica. Le macchine non li appartengono; non glielo permettono, serve l’una o l’altra a secondo l’ordine che riceve. Ne è’ il servitore , non se ne serve(…).”
Rapporto alienante, sofferenza , assenza di libertà e di cittadinanza attiva, nessun peso nei processi decisionali su quello che riguarda lo sviluppo dei rapporti sociali e produttivi nell’azienda. Simone Weil, che fece per mesi l’esperienza del lavoro operaio alla Renault, lei che veniva dalla sua laurea in filosofia , parla dell’avvilimento di questi lavoratori, della disumanizzazione, della ‘distruzione dell’uomo’ ; nelle sue “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” annotava una cosa che molti lavoratori conoscono:
“La storia umana non è altro che la storia dell’asservimento che fa degli uomini, che siano oppressori o oppressi, il semplice giocatolo degli strumenti di dominio che hanno fabbricato loro stessi, e riduce in questo modo l’umanità viva a essere la cosa di cose inerte”
Un parte consistente di lavoratori della Fiat e di lavoratori in condizioni di precarietà assoluta hanno dimostrato di non volere essere ridotti ad essre ‘cosa delle cose inerte”, cosa della finanza e dei giochi di borsa, cosa della ricchezza arrogante che calpesta l’umanità e ferisce i sentimenti di chi tenta di vivere una vita degna di questo nome.
Alain Goussot