09 Lug, 2009
Il presidente del consiglio sia condiviso dalla minoranza
Inserito da: PpF In: Consiglio comunale|Politica




di Valentino Tavolazzi
La prima prova di dialogo e di democrazia per Tiziano Tagliani ed il Pd (prima del ballottaggio si erano più volte espressi in tal senso), è rappresentata dall’elezione del presidente del Consiglio comunale.
La carica non è meramente formale, nè priva di significati democratici ed istituzionali.
Non a caso la riforma degli enti locali ha disposto che il sindaco, eletto dai cittadini, non possa ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio comunale, come accadeva precedentemente. All’organo istituzionale la legge ha assegnato compiti di salvaguardia delle regole democratiche, oltre che di controllo dell’azione di sindaco e giunta. Le funzioni di indirizzo e controllo politico ed amministrativo ad esso attribuite, riguardano l’attività degli organi e dell’organizzazione comunale, nonché quella svolta attraverso istituzioni, aziende, società o altre forme associative e di cooperazione. Dunque figure distinte per ruoli distinti.
In tale contesto come può un esponente della maggioranza, rappresentare sulla carta una proposta “super partes”, una garanzia reale di controllo della coalizione cui egli stesso appartiene e che lo ha indicato senza consultare le altre forze politiche presenti in Consiglio (soprattutto di minoranza), se da parte di queste non vi è condivisione?
E’ scontato che, in presenza di una schiacciante maggioranza nelle mani della coalizione uscita vincente dalle elezioni (24 voti, più il sindaco, più quello di Irene Bregola, su un totale di 40 voti), l’assegnazione della carica di presidente del consiglio, quale prodotto dell’applicazione interna al Pd del manuale Cencelli, suoni come una imposizione agli elettori ed alla città.
I altri termini la candidatura del consigliere Francesco Colaiacovo (Pd), prescindendo da giudizi di merito sulla persona del tutto irrilevanti dal punto di vista istituzionale, appare più il risultato di logiche tutte interne a quel partito di spartizione delle poltrone, che una risposta alla città e alla domanda di garanzia istituzionale e democratica, unico fine che dovrebbe guidare tale scelta.
Lo statuto del Comune peraltro non prescrive che il presidente sia espressione della maggioranza. Impone solo che presidente e vicepresidente appartengano a coalizioni opposte.
Dunque chi ha saldamente in mano la maggioranza del Consiglio (oltre il 60% dei seggi con meno di 40 mila voti, poco più di un terzo dei 114 mila elettori ferraresi) dovrebbe dare prova di apertura democratica consentendo l’elezione di un “presidente di garanzia”, che tuteli sulla carta i diritti e le prerogative della minoranza.
Lo si è fatto in Parlamento per decenni, si dia anche a Ferrara un segnale di vero cambiamento delle regole del gioco, dopo un lungo periodo di gestione monocratica di tutte le cariche, comprese quelle di garanzia. Lo stesso ragionamento vale per le Circoscrizioni.
Se al contrario il Pd vorrà prendersi quelle cariche a colpi di votazioni blindate, lo faccia pure, ne ha certamente il potere, ma ne risponderà ai cittadini.
Valentino Tavolazzi
Progetto per Ferrara