



Lettera pubblicata da estense.com
di Paolo Giardini
Un iperproduttivo cronista cittadino, redigendo uno dei suoi pezzi quotidiani, ha usato l’aggettivo “querulo”, relativamente al pressing di Tavolazzi sul divieto alle riprese video effettuate dal pubblico in Consiglio Comunale. Quel divieto è famoso per essere mantenuto ossessivamente in vigore, nonostante il Consiglio abbia votato all’unanimità di eliminarlo; ma non è tanto su questo che mi soffermo, quanto sul verificarsi di una di quelle coincidenze che danno credito alla telepatia, perché “querulo” è proprio l’aggettivo che emerge ogni qual volta penso a certe performances in Consiglio, fra le quali, appunto, c’è la stralunata difesa uber alles dell’ormai superato Regolamento, un tipico caso di querulomania fine a se stesso camuffato da rigore legale.
Qualche volta scrivo ai giornali, se stimolato da un argomento, e la tentazione di una letterina imperniata su quel calzante aggettivo era forte, contrastata però dalla mancanza del verbo corrispondente, non ancora surrogabile con certezza da un appropriato neologismo (attualmente propenderei per “colaiacovare” più che sul “merlare”). Tuttavia il trovarmi d’accordo al 100% col cronista sull’impiego di quell’aggettivo nel posto giusto mi consente di rompere gli indugi, se non altro per rassicurarlo che l’errore di attribuzione dell’aggettivo alla persona sbagliata (se ne sono accorti tutti che, finora, Tavolazzi è fin troppo accomodante) è stato compreso per quello che è: una banale svista per la fretta che sempre assilla i cronisti. D’altra parte gli aggettivi sono riconosciute mine vaganti per i giornalisti.
Una leggenda riporta che il mitico Luigi Albertini dei tempi eroici del Corriere della Sera chiamava a rapporto i giornalisti neoassunti, sempre giovani laureati a pieni voti in lettere classiche, puntualizzando che in ogni periodo non dovevano mancare: un soggetto, un verbo e un complemento oggetto. Aggiungeva che per l’eventuale inserzione di un aggettivo bisognava chiedergli il permesso. Albertini non colaiacolava, sapeva bene quello che diceva e faceva, sotto la sua lunga direzione il Corriere passò da 75.000 a 600.000 copie, diventando il primo giornale d’Italia.
E’ un fatto che le vendite dei quotidiani sono sensibilmente in calo. Non è una bella notizia. Bisognerebbe, forse, che le notizie tornassero ad essere il centro d’interesse dei direttori di giornali, più delle loro simpatie personali per le simpatie degli sponsors.
Paolo Giardini
Progetto per Ferrara