11 Feb, 2011
Lettera aperta – Il silenzio della sofferenza nel mondo civile
Inserito da: PpF In: Sanità




di Robero Zambelli
Egregio direttore de La Nuova Ferrara, rilevo, leggendo il suo fondo di oggi 10 febbraio 2011, la banalizzazione a 360°, dell’argomento Cona – Sant’Anna – Sanità moderna e la forse involontaria, ma grave, banalizzazione del vivere civile in una città come Ferrara che, almeno geograficamente parlando, non mi sembra ancora collocabile nel terzo mondo. Parto dall’ultima sua battuta: “…, ma indietro non si torna” che è vera solo per l’assunto che purtroppo, e in attesa di nuove scoperte nel campo della fisica, il tempo scorre inesorabilmente in avanti almeno nel nostro limitato universo terra. Nello specifico argomento Cona e sanità locale invece le confermo, ma potrà smentirmi, che in questi 21 anni siamo sempre e solo andati indietro:
– non per sterili e personalissimi sentimentalismi peraltro inconcepibili per una sanità moderna;
– non per “… i politici inclini a contestare più che a costruire” come dice lei classificando in questo modo i soli che hanno cercato di dare voce ai cittadini;
– non per i giornalisti, analogamente ai politici davvero pochi se non introvabili, che realmente, giorno dopo giorno e in profondità, hanno “…toccato con mano..” e raccontato, denunciandola, la situazione Cona in ogni suo aspetto diretto ed indiretto.
Siamo andati sempre e solo indietro, dicevo:
– per gli amministratori locali, regionali e nazionali che, in un continuo crescendo dell’assurdo hanno modificato, sempre peggiorandola, la già scellerata scelta iniziale di collocare un presidio ospedaliero in valle morte a circa 10 km dal centro di Ferrara e 6 metri sotto il livello del mare;
– per i politici e per la politica che, per i più disparati motivi, di cui quasi nessuno onorevole, si sono, e tutt’oggi si girano dall’altra parte o tergiversano, quando non fanno di peggio, per non vedere e/o decidere nulla in favore del cittadino;
– per i giornalisti che, come lei lasciano supporre senza dire;
– per gli universitari che ancora oggi fanno finta di non esistere e tra un po’ sarà vero;
– per gli amministratori e gli universitari che stanno lasciando andare in malora il Sant’Anna perdendo la credibilità che avevamo e che per ricostruirla ci vorranno quarti di secolo;
– per tutti coloro che hanno reso il Sant’Anna una struttura come dice lei da terzo mondo, ma che sarà solo in parte mitigata dal minore afflusso di pazienti a Cona essendo là il totale dei posti letto minore dell’attuale;
– per i cittadini che, ancora oggi dopo 21 anni, credono ai pifferai della presunta moderna sanità che nasce e vive vecchia e distante da tutto e da tutti in tutti i sensi;
– per coloro che ancora oggi, sindacati e amministratori compresi e lei non escluso, ciurlano nel manico adducendo, quasi come unica tesi a supporto, lo stesso suo “Non ci sarà mai un pronto soccorso vicino a tutti, in ogni angolo del mondo” esattamente come succede nel terzo mondo dove, per ogni minuto in più che sopravvivi, devi ringraziare solo ed unicamente chi ha deciso di non ucciderti seduta stante lasciandoti come unico diritto la silente e succube sofferenza!
Roberto Zambelli – PpF – Movimento 5 Stelle
LA FRONTIERA TRA NOI E CONA
La Nuova Ferrara del 10/02/2011 , articolo di PAOLO BOLDRINI ed. Nazionale p. 1
L’ospedale di Cona è il capitolo più importante della storia recente ferrarese. Non si può evitare di affrontarlo, anche se l’argomento è spinoso, una freccia all’arco di politici inclini a contestare più che a costruire. Ma è normale che sia così. Dopo vent’anni dalla posa della prima pietra, si avvicina il momento di abbandonare il vecchio e glorioso Sant’Anna di corso Giovecca. Per la città è un trauma, inutile negarlo: tra questi muri sono nate e si sono spente vite umane, in queste sale si sono consumati drammi familiari. Ma il tempo passa per tutti e con i sentimentalismi non si affrontano al meglio le sfide della sanità moderna.
Così, dopo essere stato catapultato un anno fa nella telenovela di Cona, ho pensato che la cosa migliore – come insegnava un vecchio maestro di giornalismo – era vedere con i miei occhi e toccare con mano, senza influenze esterne.
Ecco le prime impressioni. Quando sono arrivato al cantiere di Cona, dopo una dozzina di chilometri in auto, ho pensato: qui sono matti da legare. La distanza dal centro cittadino mi sembra eccessiva e non credo fosse l’unica scelta. Di terra, dalle Mura fino a laggiù, ce n’è tanta.
Temo di sapere perché si è arrivati a questo punto, ma non ho le prove e non lo scrivo: non vorrei aumentare la giù nutrita collezione di querele con relative richieste di danni e dare ulteriori grattacapi ai nostri legali. Non è il momento.
Subito dopo, però, ho pensato: il nuovo ospedale ormai è finito ed è una follìa pensare di demolirlo per costruirne un altro. Non avendo le ruote non si può spostare, quindi la cosa più sensata è renderlo il più possibile vicino ai ferraresi con strade, svincoli e linee dell’autobus efficienti.
Poi sono tornato al vecchio Sant’Anna, con la scusa di salutare un amico ricoverato. L’ho trovato in corridoio, parcheggiato su una barella con la flebo nel braccio. Non era il solo in quella situazione.
Chiunque passava rischiava di urtarlo, dalle inservienti ai parenti dei malati.
Ho sbirciato in uno stanzone: ho visto sei, otto letti. Un solo bagno.
Mi sembra una situazione da Terzo mondo e non aggiungo altro. Ecco perché sono arrivato alla conclusione che avere un ospedale sotto casa non è sempre sinonimo di buona sanità. Non ci sarà mai un pronto soccorso vicino a tutti, in ogni angolo del mondo. E’ uno scoglio duro da superare, ma indietro non si torna.