



di Paolo Giardini
“Una notizia che non si dà è una notizia che non esiste”. La frase è nell’editoriale di un giornale locale in cui il Direttore si dichiara consapevole che: “senza giornalismo libero non c’è una società libera” e conclude promettendo: “noi non smetteremo mai di indignarci e di scrivere”. Il fattore “indignazione” offre una spiegazione più sopportabile dell’omertà all’assenza di un certo tipo di notizie sulla carta stampata, riducendo il problema ad una ridotta capacità di sdegno.
Come ovviare a questa carenza? Bisogna identificare una soglia di normalità, al di sotto della quale prevale il disinteresse e al di sopra scatta l’automatica riprovazione?
Proviamo ad immaginare che l’importo da pagare per l’esame del sangue eseguito in laboratori privati, connotati da libertà d’accesso senza fastidiose code e prenotazioni, fosse inferiore al ticket preteso dall’USL, rendendo più conveniente ricorrere ai privati che andare alla mutua. La notizia non sarebbe fra quelle da tacere, tanto più che evidenzierebbe costi eccessivi negli esami USL.
Potrebbero i giornali sorvolare perché non indignati a sufficienza? Certo che no, è presumibile che il mostro USL sarebbe sbattuto in prima pagina. Allora come mai i giornali locali ignorano fatti reali più gravi e non opinabili? Non è egualmente indignabile per valenza sociale l’ampliamento del teleriscaldamento in città, necessariamente meno conveniente agli utenti rispetto al riscaldamento autonomo con caldaie a condensazione? Queste, rispetto alle caldaie normali usate per scaldare la maggior parte dell’acqua del teleriscaldamento, hanno rendimenti superiori del 25-30 %, e non sono gravate di spese per le dispersioni di calore nei 100 chilometri di condotte calde interrate, per il pompaggio incessante di milioni di litri d’acqua, per le frequenti perdite da tubi rotti. Se molti utenti ci cascano è “merito” esclusivo del silenzio steso sul fatto. E, sia chiaro, su certi argomenti si tace anche parlandone una volta sola. Le previsioni del tempo si pubblicano tutti i giorni.
Non fa più notizia che il laboratorio acque di Ponte sia diventato un riempitore occasionale di provette da far viaggiare in macchina, rapinando quotidianamente la città della possibilità di decidere autonomamente quali rischi correre attingendo al Po. Ma quanti giornali informano che in Po ci sono milioni di sostanze non monitorate perché le leggi prescrivono di cercarne solo qualche decina? E quanti cittadini lo sanno per scienza propria? Quanti cittadini sanno che anche sindaco e maggioranza consigliare ne sanno come loro? E la strana “dimenticanza” dell’unicità delle reti gas e acqua, nate municipali e che tali devono restare per conformità alla loro natura, che si pretende di valutare come merce scambiabile, un tanto al chilo, è notizia assolutamente da tacere?
Sforzatevi di indignarvi un pochino di più per le cose serie locali, giornalisti della carta stampata, e scoprirete d’avere molta più libertà di prima.
Paolo Giardini