



Constatare la relazione fra le competenze e la ricchezza del linguaggio necessario a descriverle è sempre un’esperienza piacevolmente istruttiva. Gli esquimesi delle tribù operanti fra distese di ghiaccio chiamano la neve con una decina di nomi diversi per indicarne le caratteristiche. Hanno dovuto specializzarsi per sopravvivere e, per insegnare alle nuove generazioni a sopravvivere in ambienti ostili, incrementano il linguaggio conformemente alla specializzazione. Senza andare tanto lontano, basta ascoltare la ricca terminologia usata dai medici per avvertire come le conoscenze richiedano un’espansione del lessico.
Se è chiara la relazione fra competenze e linguaggio, è meno percepibile il legame fra povertà di linguaggio e assenza di specializzazione. Tuttavia si tratta dell’altra faccia della stessa medaglia.
Consideriamo il significato di “studente”. L’antica parola esclude per definizione la negazione dello studio. Eppure oggi l’accezione di studente riguarda chi frequenta edifici scolastici, comprendendo sia chi è disposto alle fatiche cerebrali, sia chi ne è fermamente contrario, sia le posizioni intermedie fra i due estremi, complicando parecchio la comprensione delle statistiche ufficiali. Non è un caso che l’istruzione pubblica sia gravida di problemi: se i suoi addetti ai lavori sono incapaci di adeguare la terminologia alle necessità, è segno che non sanno affrontare le necessità. Ma l’esempio più sorprendente di povertà di linguaggio riguarda i politici di professione che assumono incarichi amministrativi. Specialisti in politichese (un gergo che nulla ha a che fare con la politica, sarebbe più appropriato chiamarlo partitichese, perché poggia sull’equivoca attribuzione di uomo di partito come sinonimo di politico e viceversa), con quel gergo i professionisti della politica dimostrano che le loro competenze sono confinate proprio alle questioni di partito. Infatti, quando aprono bocca sui problemi cittadini, impiegano al massimo i tre-quattrocento vocaboli in possesso alle servette. In città ne abbiamo avuto più di una prova, in occasione delle rimostranze sulle questioni turbogas e inceneritori, o sulle polemiche sulla viabilità o per l’Ospedale di Cona. In tutti i casi, solo le reiterate proteste circostanziate con linguaggio tecnico hanno ottenuto tardive risposte dal palazzo formulate con qualche termine tecnico e dati numerici. Dimostrazione evidente che i “partitici” (meglio chiamarli così, piuttosto dell’abusato “politici”) erano incompetenti su quanto deliberato.
Si avvicina, per fortuna, una scadenza elettorale. Sarà possibile una svolta storica, lasciando perdere i tanti rapaci dei partiti pronti a spartirsi una torta sempre più povera? Anche oggi i non-proprietari vendono immobili comunali. Nei prossimi mesi si potrà esaminare la proposta di Tavolazzi con il suo “Progetto per Ferrara” in via di stesura. Il modo giusto di valutarlo sarà il linguaggio con cui sarà redatto: se mancherà quello delle servette a favore di quello dei competenti, ci si potrà fare un pensierino.
Sono moderatamente fiducioso. Forse perché ritengo che Tavolazzi, fra i tanti nomi possibili, sia fra le pochissime persone che potrebbero assumere l’incarico di assessore all’ambiente con le carte in regola: l’ha dimostrato con le sue vittorie tattiche su SEF ed Hera ottenute a suon di relazioni tecniche, ma, soprattutto, sa che una mole e il suo rapporto col Numero d’Avogadro sono gli strumenti per avere ordini di grandezza sui quantitativi in gioco di ogni sostanza, e sa pure qual è e come si chiama l’unico strumento tecnico, fondamentale per ogni impianto chimico, in cui sono rappresentate tutte, ma proprio tutte, le sostanze entranti e uscenti. Sospetto che nessun partitico in zona abbia pari requisiti.
Paolo Giardini
03 ottobre