13 Nov, 2009
Non solo Consentino. La storia delle centrali Hera di Minerbio e Sparanise
Inserito da: PpF In: Servizi pubblici




Dal blog di Marco Trotta
C’è un filo rosso che sta unendo in queste ore la vicenda Cosentino ad Hera, la multiutility locale. E’ la centrale turbogas a Sparanise in provincia di Caserta. Un progetto per il quale Hera probabilmente non ho solo ha avuto un ruolo nella sua sua realizzazione, ma sta dividendo anche gli utili con la famiglia del sottosegretario del governo Berlusconi oggetto in queste ore di una richiesta di autorizzazione a procedere da parte della magistratura per concorso esterno in associazione camorristica.
La notizia è stata riportata da un articolo de Il Fatto del 23 Ottobre a firma di Marco Lillo che ricostruisce la vicenda dall’allarme amianto sui terreni di Sparanise (rilanciato da Cosentino parlamentare), all’acquisto degli stessi (ad opera della società Scr vicina ai Cosentino per due milioni di euro) fino alla vendita per quasi nove all’Ami di Imola poi confluita in Hera.
La questione è stata rilanciata, poi, ieri da Città del Capo Radio Metropolitana con una intervista al giornalista che ha aggiunto nuovi dettagli. E in particolare: che la vendita all’Ami è avvenuta probabilmente per quella cifra dietro la certezza che la centrale avesse tutte le autorizzazioni e che poi le autorizzazioni sono state vendute ad una impresa svizzera che ha fattivamente realizzato la centrale con l’accordo di versare un 15% dei profitti ad Hera Mediterranea (divisione locale di Hera) nei cui consiglio di amministrazione risiede Giovanni Cosentino, fratello di Nicola, Un accordo piuttosto profittevole visto che Lillo valuta in circa 7 milioni gli euro che sono stati divisi solo quest’anno. Ma soprattutto un accordo che mette in risalto un vero e proprio esempio di “mala politica” secondo il giornalista visti i ruoli che hanno avuto il sindaco di Sparanise vicino ai Cosentino e la regione Campania di Bassolino da una parte, e dall’altra Hera che per il 51% è in mano ad amministrazioni locali come quella bolognese che “sono la parte più civile del nostro paese” ha ricordato Lillo e che fanno spesso della legalità e della lotta alle mafie un fiore all’occhiello, aggiungiamo noi.
Il problema è che oltre questo rilancio di Città del Capo in città non è partito nessun dibattito. Anzi. E la ragione non può essere solo che Hera è un inserzionista di peso per i media locali. Il problema è che questa nuova querelle su Hera si va ad aggiungere ad un dibattito aperto da tempo sulle scelte che la multiutility diventata società per azioni ha fatto negli ultimi anni. Aperto ma che non ha avuto un impatto apprezzabile sull’agenda dei temi pubblici. Un dibattito che ha sostanzialmente rotto il fronte compatto della prima ora di chi ha visto nelle privatizzazioni delle ex municipalizzate un modo più efficiente di rispondere ai bisogni del territorio grazie al mercato e che, per esempio, più di recente ha visto diversi mugugni per esempio da parte dei piccoli comuni insoddisfatti delle politiche sui rifiuti, per esempio. Ne sanno qualcosa a Monte San Pietro dove l’assessore Manuela Ruggeri, lo scorso 19 maggio, ha spiegato come la sua amministrazione ha dovuto organizzare il suo servizio di raccolta porta a porta contro il parere di Hera. Mentre a Bologna la percentuale di differenziato fatica a salire da anni.
La questione Turbogas nella quale Hera è implicata, poi, è un ulteriore esempio che va ricostruito dall’inizio. Perché negli ultimi anni è stato un settore che ha riscosso molti interessi per i profitti previsti, ma che per questo ha distorto anche diversi meccanismi istituzionali di decisione democratica dove le scelte bipartisan sono state più d’una. Già perché i primi decreti per l’installazioni di centrali Turbogas in Italia risalgono al 2000 con l’allora ministro delle attività produttive Pierluigi Bersani (ora diventato segretario del PD) che li emana nell’ambito delle liberalizzazioni del mercato dell’energia. Il ragionamento è semplice: all’Italia occorre più energia elettrica e per questo le aziende devono competere tra di loro per installare nuove centrali. C’è anche un’escamotage per rendere la cosa di “sinistra”, l’intenzione è sostituire le vecchie centrali a carbone e olio con quelle più efficienti e meno inquinanti a gas naturale. Sono le famose “turbogas” a ciclo combinato con una potenza media di 800 Megawatt che effettivamente sono mediamente meno inquinanti delle altre, ma non lo sono del tutto, e per le quali tra il 2000 ed il 2002 vengono chieste autorizzazioni alla costruzioni in un centinaio di località in Italia. Con due paradossi: se fossero state approvate tutte le richieste l’Italia avrebbe potuto approviggionare l’intera l’Europa e se è vero che in alcuni posti dovevano sostituire centrali con tecnologia obsoleta (per esempio Sermide, in provincia di Mantova) in altri non è per nulla così: Termoli (CB), Aprilia, ecc. Del resto che questa fosse la visione di modernizzazione di Bersani ed anche della sua concertazione con il territorio, non è mai stato un mistero. Da ministro dello sviluppo si è sempre dichiarato a favore dei rigassificatori, ha chiesto sanzioni contro la Federazione degli Ordini dei Medici dell’Emilia Romagna quando ha mandato una lettera a tutti gli amministratori locali dove si chiedeva di “non procedere alla concessione del nulla osta alla costruzione di nuovi termovalorizzatori-inceneritori” e non ha mai chiuso del tutto la porta perfino al nucleare quando rispetto all’iniziativa di Casini per il ritorno all’atomo dichiarò che l’interesse dell’Italia era “partecipare alla ricerca europea e internazione sul nucleare di quarta generazione. Un nucleare in grado di risolvere la questione del combustibile irraggiato che potrà comunque diventare realtà in una prospettiva di medio-lungo periodo”.
Una inclinazione condivisa con altri due ministri, sebbene schierati dall’altra parte, prima Antonio Marzano e poi Claudio Scajola, che sulla scia di questi provvedimenti, nella successiva legislatura ne approvano altri per sbloccare i procedimenti per la costruzione delle nuove centrali. Il ragionamento è la prosecuzione di quello di Bersani. Servono nuove centrali, se ne deve occupare il mercato, ma non si fanno per l’opposizione degli enti locali, quindi laddove ci sia un interesse nazionale si va avanti con le autorizzazioni del governo. Un progetto che fa gola a molte imprese che nel frattempo avevano fatto richieste di insediamento. Molte e diverse, si va dalla storica azienda italiana Ansaldo a multinanzionale come la statunitense Mirant , da Edison a Sorgenia (gruppo legato a Carlo De Benedetti, proprietario di Espresso/Repubblica). E tutte con problemi sul territorio dove di volta in volta all’annuncio dell’imminente insediamento (quasi sempre dopo un iter dove i cittadini vengono tenuti all’oscuro) sono nati comitati cittadini con gli enti locali di diversi colori impegnati a rimpallarsi le responsabilità a vicenda. E così in Molise, per esempio, la Turbogas di Sorgenia a Termoli fu approvata con modalità oggetto di una indagine giudiziaria da un governo regionale di centrosinistra e poi avallate da quello successivo di centrodestra. Nel Lazio, invece, fu il contrario.
E qui arriva Bologna ed Hera, con un fatto che poi avrà rilevanza nazionale, perché sull’onda di questo processo la multiutily regionale chiede di costruire una centrale a Minerbio. La richiesta sembra avere il beneplacito di tutti gli enti locali. Manca ancora un piano regionale per l’energia ma sembra che questo insediamento sia compatibile e non venga ostacolato dai comuni interessati. Peccato che, invece, ai cittadini la cosa non piaccia per niente e in sette mesi organizzano una serie di mobilitazioni arrivando a raccogliere 14.000 firme contrarie. A queste si aggiunge il lavoro di un ricercatore del CNR, Nicola Armaroli, e un medico dell’Ausl, entrambi di Bologna, che a maggio e novembre del 2003 pubblicano due articoli su “La Chimica e l’Industria”, organo ufficiale della Società chimica italiana e che mettono un po’ di punti fermi sulla vicenda. Per esempio il fatto che una centrale da 800 megawatt che consuma un milione di metri cubi l’anno di gas naturale produce polveri fini equivalenti ad una città grande quanto Bologna. Questi dati cominciano ad essere rilanciati da un comitato cittadino all’altro, finiscono negli ordini del giorno di molti altri enti locali e mentre nel paese finalmente il dibattito esce alla luce del sole (con risvolti spesso comici: con consulenti delle aziende coinvolte chiamati in maniera più o meno fantasiosa a smentire queste informazioni), a Minerbio l’iter si ferma. I sindaci della zona si dichiarano contrari, la regione prende atto, un nuovo impatto ambientale sancisce la cosa ed ad Hera non resta che alzare bandiera bianca. Con una dichiarazione dell’allora amministratore delegato Aldrovandi che dovrebbe fare riflettere. E’ il 9 Febbraio del 2004 e il lancio di agenzia dice: “La centrale di Minerbio nel bolognese non si farà perché le autorità del territorio non la vogliono. Lo ha confermato nel corso di un convegno su Energia e Ambiente che si è tenuto a Bologna, Stefano Aldrovandi, amministratore delegato di Hera. […] Il nostro progetto su Caserta ha ottenuto, invece, tutte le autorizzazioni nel dicembre dello scorso anno e quindi inizierá tra qualche mese la fase di costruzione”. Un tempismo perfetto che coincide con la ricostruzione di Lillo tra lo stop in Emilia Romagna ed il via data dalla giunta “amica” di Bassolino.
Marco Trotta